ROMA – Ictus e Alzheimer, la curcuma può aiutare a proteggere il cervello. Merito di un composto bioattivo presente in questa spezia di origine asiatica, che è in grado di bloccare le proteine anomale che scatenano queste malattie. La scoperta è frutto di una ricerca dell’italiano Giovanni D’Agata, presidente dello “Sportello dei Diritti”.
Utilizzata in India come medicina, spezia e colorante da più di 5mila, la curcuma è nota anche come “Zafferano d’India” perché i suoi rizomi, che sono la parte della pianta che contiene i principi attivi, vengono bolliti per diverse ore, poi essiccati in appositi forni, ed infine pestati fino ad ottenere una polvere di color giallo-arancione che viene comunemente utilizzata come spezia nella cucina del Sud Asia.
Questa spezia contiene centinaia di componenti tra cui potassio, vitamina C, amido pari al 26 %, oltre ad oli eterici ed oli amari che sono in grado rispettivamente di stimolare l’appetito e la formazione di enzimi digestivi. Quello che però ha destato maggiormente l’attenzione degli studiosi è la “curcumina” ed in particolare la sua particolare natura antitumorale ed antiossidante, disintossicante ed antiinfiammatoria.
Da una recente indagine scientifica è emerso anche che un composto presente nella curcuma è in grado di stimolare la proliferazione e il differenziamento delle cellule staminali neurali presenti nel cervello adulto, curando, a suo modo, l’Alzheimer.
I ricercatori hanno sperimentato l’effetto del turmerone aromatico, che insieme alla curcumina è una delle due molecole bioattive presenti nella curcuma.
Gli esperimenti hanno dimostrato che questa molecola non ha nessun effetto sulla morte cellulare, ma a concentrazioni opportune stimola la proliferazione delle cellule staminali neuronali fino all’80% e ne accelera il differenziamento.
Inoltre il turmerone è associato ad una maggiore ampiezza della zona subventricolare e ad un’espansione dell’ippocampo. In entrambe queste aree avvengono fenomeni di neurogenesi, cioè di produzione di nuove cellule nervose. A beneficiare di queste nuove scoperte potrebbero essere non solo i pazienti affetti da Alzheimer, ma anche chi ha a che fare con altri disturbi neurologici, ad esempio l’ictus.
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