Il microbiota intestinale influenza la capacità di perdere peso negli esseri umani.
E’ quanto evidenzia uno studio pubblicato su mSystems, rivista dell’American Society for Microbiology.
L’autore principale dello studio, lo scienziato Christian Diener, ha spiegato:
“Il tuo microbioma intestinale può aiutare o causare resistenza alla perdita di peso e questo apre la possibilità di provare ad alterare il microbioma intestinale per avere un impatto sulla perdita di peso”.
I ricercatori si sono concentrati su 48 individui che hanno perso più dell’1% del loro peso corporeo al mese per un periodo da 6 a 12 mesi e 57 individui che non hanno perso peso e avevano un indice di massa corporea (BMI) stabile nello stesso periodo.
Come si legge su Medical X Press:
“I ricercatori hanno identificato 31 caratteristiche funzionali metagenomiche delle feci di base che erano associate alle risposte alla perdita di peso“.
“Questi includevano polisaccaridi complessi e geni di degradazione proteica, geni di risposta allo stress, geni correlati alla respirazione, geni di sintesi della parete cellulare e tassi di replicazione batterica intestinale”.
“Prima di questo studio, sapevamo che la composizione dei batteri nell’intestino era diversa nelle persone obese rispetto alle persone non obese, ma ora abbiamo visto che esiste un diverso insieme di geni codificati nei batteri del nostro intestino, che risponde anche agli interventi di perdita di peso“, ha affermato il dott. Diener.
I centenari hanno un microbioma unico che può aiutare a sostenere la longevità, proteggendoli da alcune infezioni batteriche, comprese quelle causate da batteri multiresistenti. Lo ha rilevato uno studio pubblicato su Nature.
Un team di ricercatori della Keio University School of Medicine in Giappone e del Broad Institute del MIT e di Harvard, hanno studiato i microbi in campioni fecali di 160 centenari giapponesi che avevano un’età media di 107 anni.
Hanno scoperto che, rispetto alle persone di età compresa tra 85 e 89 anni e a quelle tra i 21 e i 55 anni, avevano livelli più elevati di diverse specie batteriche che producono molecole chiamate acidi biliari secondari.
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