Risultato storico per un nuovo farmaco sperimentale contro l’Alzheimer che ha rallentato significativamente, di circa il 35%, il declino cognitivo legato alla malattia e del 40% la capacità di svolgere attività quotidiane. Ad annunciare i risultati di uno studio sperimentale è l’azienda farmaceutica Eli Lilly, da anni impegnata nella ricerca contro questa malattia e pronta a chiederne presto l’autorizzazione.
La notizia è importantissima: è infatti la prima volta nella storia della lotta all’Alzheimer che un farmaco sperimentale raggiunge tali risultati.
In uno studio controllato con placebo su quasi 1.182 persone con forme precoci di Alzheimer, donanemab ha rallentato la progressione dei sintomi del 35% in un periodo di 18 mesi: questo effetto è stato misurato confrontando la capacità di svolgere attività quotidiane come gestire soldi, guidare, impegnarsi in hobby e conversare sull’attualità. Gli effetti collaterali includevano microemorragie.
Nella malattia di Alzheimer, due proteine chiave -la tau e la beta amiloide- si accumulano in grovigli e placche, noti insieme come aggregati, che causano la morte delle cellule cerebrali. Donanemab prende di mira l’amiloide-beta, così come fa lecanemab, altro farmaco sviluppato da Biogen ed Eisai, che ha mostrato un calo del declino del 27% ed è stato approvato dagli Stati Uniti a gennaio scorso.
Lilly ha affermato che presenterà rapidamente i risultati del nuovo studio alla Food and Drug Administration, l’ente regolatorio degli Stati Uniti e ad altri regolatori globali.
“Siamo lieti che donanemab abbia prodotto risultati clinici positivi con un significato statistico convincente”, ha dichiarato Daniel Skovronsky, direttore scientifico e medico di Lilly, in una nota. “Questo – aggiunge – è il primo studio di fase 3 di qualsiasi medicinale sperimentale per l’Alzheimer a fornire un rallentamento del 35% del declino clinico e funzionale”. Questi risultati, per Mark Mintun, vicepresidente del gruppo di ricerca Eli Lilly, “suggeriscono che le persone nella fase iniziale della malattia potrebbero essere le più reattive alle terapie mirate all’amiloide”.
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