Tumore al rene, il sovrappeso è la causa di 1 caso su 4
20 Novembre 2016 - di Mari
ROMA – Tumore al rene, un caso su quattro è dovuto al sovrappeso. E si badi bene: non parliamo di obesità, ma semplicemente di qualche chilo di troppo. Secondo gli ultimi dati, il sovrappeso causa il 25% dei casi di tumore al rene: ogni anno, sono 11.400 le nuove diagnosi di carcinoma renale in Italia ed un quarto si presenta in stadio avanzato, con limitate possibilità di trattamento, fino a oggi. L’immunoncologia, che punta a risvegliare il sistema immunitario per combattere il cancro, può infatti cronicizzare la malattia e migliorare la qualità di vita.
Sono diversi i fattori di rischio associati all’insorgenza di questa neoplasia: il fumo, l’ipertensione arteriosa e l’esposizione a cancerogeni chimici per motivi di lavoro. Un ruolo particolare può essere però attribuito al sovrappeso, a cui va ricondotto il 25% delle diagnosi. Un dato preoccupante se consideriamo che il 45% degli italiani adulti è in eccesso di peso. Secondo le stime, i chili di troppo favoriscono un aumento del rischio pari al 24% negli uomini e al 34% nelle donne per ogni incremento di 5 punti dell’indice di massa corporea. Per questo motivo, sottolinea Sergio Bracarda, presidente del Congresso internazionale sulle neoplasie genito-urinarie e Direttore dell’Oncologia Medica di Arezzo e del Dipartimento Oncologico dell’Azienda USL Toscana SUDEST, “è importante promuovere campagne di sensibilizzazione per informare i cittadini”.
A puntare i riflettori sul tumore al rene è stato proprio il convegno internazionale sulle neoplasie genito-urinarie che si è appena tenuto ad Arezzo, centro di riferimento internazionale per il trattamento di tale neoplasia.
“Stiamo assistendo a una vera e propria rivoluzione degli scenari terapeutici, ha sottolineato il dottor Bracarda. Si stanno evidenziando risultati importanti nell’ambito delle neoplasie urologiche ad opera di farmaci immunoterapici. In particolare nel tumore del rene l’immunoncologia sta cambiando lo standard di cura: grazie a nuove molecole, come nivolumab, oggi è possibile rendere cronica la malattia”.