Tumori, fare come Angelina Jolie spesso può non servire
21 Maggio 2015 - di Mari
LONDRA – Le mutazioni genetiche ereditarie che hanno spinto Angelina Jolie a farsi asportare i seni per ridurre il rischio di tumore potrebbero non essere davvero segno di una condanna a morte. Secondo uno studio della dUniversity of Southampton, nel Regno Unito, in realtà le chance di sconfiggere la malattia una volta che arriva sono le stesse di chi non è ‘predisposto’ a causa del proprio Dna.
Circa un quarto dei tumori al seno, spiegano i ricercatori britannici, è legato a qualche componente genetica, come le famose mutazioni Brca1 e Brca2, quelle appunto di Angelina Jolie, anche se molte mutazioni coinvolte non sono ancora state trovate.
La ricerca ha esaminato i dati di circa 3mila donne che avevano avuto una diagnosi di tumore al seno prima dei 41 anni, di cui circa due terzi non aveva familiarità per la malattia, quindi non aveva i fattori genetici predisponenti, mentre un terzo sì.
Sia sotto il profilo della crescita del tumore che della risposta al trattamento lo studio non ha trovato differenze tra i due gruppi, un segno che le mutazioni favoriscono l’insorgenza del tumore ma poi non ne influenzano il comportamento. La sola storia familiare, in altre parole, non è sufficiente a determinare un esito peggiore del tumore.
In Italia si ammalano di tumore circa 50mila donne l’anno, mentre si stima che circa una donna su otto avrà una diagnosi nella propria vita. I numeri impressionanti, corrispondenti a quattro diagnosi all’ora, sono bilanciati dalla sopravvivenza media, che a cinque anni dalla diagnosi è dell’85%. Fondamentali per il buon esito sono il tipo di tumore da cui una donna è colpita e lo stadio a cui viene trattato, oltre che ovviamente il tipo di trattamento utilizzato, mentre uno screening genetico al momento è indicato solo per le donne che hanno una parente stretta che è stata colpita dalla malattia.