Pupetta Maresca, da donna criminale di camorra a eroina popolare
4 Giugno 2013 - di Claudia Montanari
ROMA – Napoli, 1955. Un torrido pomeriggio di metà Agosto viene ucciso Pasquale Simonetti, boss di camorra di Palma Campania. Il giorno dopo Assunta Maresca, moglie di Pasquale, uccide Antonio Esposito, il presunto mandante dell’omicidio, in realtà poi scagionato da tre gradi di giudizio fino alla Cassazione.
È una storia di delitti e di sangue quella di Pupetta Maresca, ripresa ora dalla fiction “Pupetta, il coraggio e la passione“, di Luciano Odorisio, in onda su Canale5 dal 6 giugno prossimo.
Una vicenda impregnata di lutti e camorra quella di Assunta Maresca, a cui quel delitto gli è costato 14 anni di carcere.
Il volto della donna che si fece “giustizia privata”, nella rappresentazione televisiva è quello di Manuela Arcuri. Una fiction senza dubbio audace e temararia in cui, di fatto, si tende a trasformare una donna di camorra assassina in povera vittima.
La vicenda di Assunta Maresca, negli anni Cinquanta, fece molto scalpore. Era il periodo in cui l’Italia si stava ancora leccando le ferite della Seconda Guerra Mondiale e stava apparecchiando la tavola per prepararsi al boom economico. L’immagine di Assunta, così giovane e bella, colpì l’immaginario di quell’Italia che, immediatamente dopo la guerra, stava vivendo la sua infanzia da nazione libera e altro non si auspicava che al miracolo economico e ad uno stile di vita più aperto di idee.
Ma Pupetta è, pur sempre, legata ad atroci delitti e a quel ramo avvelenato che è la camorra. Oggi ha 78 anni e, in occasione del lancio della fiction, è voluta essere presente all’evento e si è dichiarata pentita del suo gesto, nonché vittima di una società e di una giustizia che non l’hanno saputa comprendere.
“Mio marito fu assassinato dopo soli 80 giorni di matrimonio quando ero incinta del mio primo figlio. Ho tentato di denunciare l’assassino ma nessuno mi ha dato retta, perciò, quando mi trovai faccia a faccia con chi aveva ucciso mio marito ho sparato. Il mio bambino nato in carcere mi fu portato via che aveva tre anni ed ero da poco tornata libera quando fu assassinato e il suo corpo non fu mai più ritrovato. Questa è la storia della mia vita. Vorrei che queste cose non accadessero più, oggi mi colpiscono tutti questi casi di femminicidio, tante giovani vite spezzate, donne che non hanno avuto il coraggio di ribellarsi, abbandonate dalle istituzioni”.
Così si è giustificata Assunta. La realtà, però, non è lineare: si è di fronte ad una donna di camorra che ha agito come donna di camorra, questo è indubbio, e dovrebbe essere chiaro.
La Arcuri stessa spiega la figura si Assunta: “Ne ho voluto fare una figura coraggiosa e piena di passione, una che si è ribellata alle regole patriarcali della sua famiglia, una che si è fatta giustizia a modo suo in anni in cui alle donne non era concesso agire in alcuna autonomi”.
Ma la linea rossa che divide la giustizia con “l’ingiustizia di farsi giustizia da soli” è piuttosto sottile. Il produttore Tarallo, dal canto suo, spiega che gli aspetti criminali sono stati poco sottolineati: “Ci interessava solo il cuore di questa donna: anche se i fatti sono veri noi vogliamo proporre un romanzo, un romanzo sulla passione femminile”.
È vero però che storie di donne appassionate, storie di donne forti e deboli allo stesso tempo ce ne sono cento, mille. Storie di donne che reagiscono a violenze, che si rimboccano le maniche e ricominciano a vivere, che lottano e vincono o perdono non importa, ma donne comuni che non alzano la pistola per vendetta e, pur sempre, ne escono vincenti.
Il dubbio, dunque, rimane.
In foto: Manuela Arcuri insieme alla vera Pupetta, Assunta Maresca